Attualità di Redazione , 02/12/2020 11:51

Prevenzione del disagio psicologico nei migranti

migranti

Stime epidemiologiche hanno mostrato che la frequenza di disagio psicologico nei migranti richiedenti protezione internazionale è di circa il 50% e la prevalenza di malattie psichiatriche riguarda il 30-40% di questa popolazione. Una situazione dovuta anche, probabilmente, alle difficoltà e sofferenze cui vanno incontro nel loro viaggio migratorio. Dall’estrema attualità e criticità del tema della tutela della salute nei migranti, in particolare per quanto riguarda la loro salute mentale, è nato il progetto Redefine, Refugee Emergency: DEFining and Implementing Novel Evidence-based psychosocial Interventions, finanziato dalla Comunità europea con quasi 3 milioni di euro, all’interno del programma Horizon 2020.







I risultati dello studio, giunto ora al termine, che ha coinvolto l’ateneo scaligero e altri 9 partner internazionali, verranno presentati durante un webinar internazionale che si terrà venerdì 4 dicembre, a partire dalle 9.







“Lo studio ha dimostrato che nei migranti con disagio psicologico è possibile prevenire l’evoluzione di tale disagio in vere e proprie patologie psichiatriche utilizzando un intervento psicosociale semplice, economico e utilizzabile su larga scala” spiega Corrado Barbui, responsabile scientifico del progetto e direttore del Centro Oms di ricerca in salute mentale dell’ateneo veronese. Tale intervento, denominato Self-Help Plus, è stato sviluppato dalla Organizzazione Mondiale della Sanità. “Abbiamo condotto una sperimentazione randomizzata su oltre 1000 migranti giunti in Italia, Germania, Austria, Finlandia, Regno Unito e Turchia”, spiega ancora Barbui “e abbiamo dimostrato il beneficio di questo intervento sul benessere psicologico dei migranti, con una importante riduzione della evoluzione del disagio verso patologie psichiatriche conclamate”.







Durante il webinar internazionale di venerdì 9 dicembre i massimi esperti internazionali in questo settore discuteranno le implicazioni dei risultati dello studio. Vi sono implicazioni dirette, legate alla necessità di rendere subito disponibile l’intervento Self-Help Plus per i migranti in varie lingue. Attualmente l’intervento è disponibile in lingua Inglese, Dari, Urdu, Arabo, Pidgin English e Farsi. L’ateneo scaligero ha anche curato la versione in italiano, già disponibile per l’utilizzo e accessibile sul sito web della Organizzazione Mondiale della Sanità.







“E questo porta alle implicazioni indirette”, continua Barbui, “essenzialmente legate alla possibilità di impiegare Self-Help Plus in altre popolazioni esposte a disagio, per esempio quello causato dalle restrizioni che la pandemia attualmente ancora in corso ci costringe.” Il Self-Help Plus si candida dunque come possibile intervento di prima linea, adatto ad ampie fette di popolazione, per ridurre il disagio psicologico causato dal distanziamento fisico e relazionale che la pandemia impone.







In quest’ottica, prima ancora della conclusione dello studio Re-define, il Centro Oms di ricerca in salute mentale dell’ateneo veronese si è consorziato con altri 13 partner europei per un nuovo progetto di ricerca, sempre finanziato all’interno del programma comunitario Horizon 2020, che studierà l’efficacia del Self-Help in popolazioni vulnerabili esposte all’emergenza del Coronavirus. Il nuovo progetto, denominato Respond (Improving the Preparedness of Health Systems to Reduce Mental Health and Psychosocial Concerns resulting from the COVID-19 Pandemic) ha recentemente ricevuto un finanziamento di oltre 6 milioni di euroe vedrà l’ateneo veronese in prima linea per i prossimi tre anni nelle ricerche in questo settore.







Il Centro OMS dell’ateneo scaligero si consolida, quindi, nel ruolo di leadership nella ricerca in salute mentale. “Sono riconoscente”, conclude Barbui, “al dipartimento di Neuroscienze, Biomedicina e Movimento, diretto da Andrea Sbarbati, per avere creato le condizioni affinché questi progetti potessero essere pensati, finanziati e realizzati. Nulla avviene per caso, e il dipartimento rappresenta una infrastruttura di ricerca fondamentale, che ci permette di lavorare al meglio, con professionalità e passione. Grazie anche al team multidisciplinare che ha realizzato il progetto sul campo: Marianna Purgato, Giulia Turrini, Claudia Lotito, Elisa Zanini, Federico Tedeschi, Michela Nosè, Giovanni Ostuzzi, Chiara Gastaldon e Davide Papola.”